parabola di un uomo affetto da neurofibromatosi, che decide di sottoporsi a un intervento chirurgico per cercare di guarire. Dramma umano, a tratti cronenberghiano, che si tinge di grottesco, ironia del paradosso e satira del mondo dello spettacolo.
Una scrittura priva di lacune per un’opera che si presta a diverse chiavi di lettura con un ribaltamento narrativo per un film potente e a tratti divisivo.
Il protagonista Edward, interpretato da Sebastian Stan, è un aspirante attore affetto da neurofibromatosi di tipo 1, una malattia che gli ha deformato il volto e lo ha reso solitario e insicuro. La sua vita cambia quando conosce Ingrid, una drammaturga che si trasferisce nel suo stesso palazzo.
Dopo essersi sottoposto a una sperimentazione medica, Edward guarisce e assume un nuovo aspetto. Decide allora di fingere la propria morte e di reinventarsi come Guy, un agente immobiliare. Tuttavia, scopre che Ingrid ha scritto una pièce teatrale ispirata alla loro amicizia. Ossessionato dal progetto, Edward si presenta all’audizione e ottiene la parte di sé stesso, senza essere riconosciuto.
La situazione si complica con l’arrivo di Oswald, un altro uomo affetto da neurofibromatosi, che vive serenamente la sua condizione. Edward, tormentato dalla gelosia e dal senso di esclusione, precipita in una spirale di autodistruzione che culmina in violenza e alienazione
Aaron Schimberg è un regista e sceneggiatore americano noto per il suo cinema provocatorio e anticonvenzionale, capace di esplorare con profondità temi come l’identità, la deformità, l’ossessione e la rappresentazione. Dopo aver esordito con Go Down Death (2013), un’opera surreale e visionaria, ha ottenuto maggiore attenzione con Chained for Life (2018), una riflessione acuta e ironica sul modo in cui il cinema tratta la disabilità e la diversità fisica. Il suo stile si distingue per l’uso di narrazioni stratificate, dialoghi taglienti e una forte componente metacinematografica. Nel 2024 ha presentato A Different Man, con Sebastian Stan, un dramma psicologico che indaga il desiderio di trasformazione e il bisogno di accettazione. Schimberg, affetto lui stesso da una condizione genetica, porta nel suo cinema una prospettiva personale e autentica, sfidando le convenzioni estetiche e morali del racconto tradizionale.
